Greenwashing: quando la comunicazione ecologica inganna i consumatori
Oggi la sostenibilità è al centro dell’agenda di molte aziende. Sempre più imprese adottano criteri ESG e investono nel green marketing dimostrandosi impegnate nella sostenibilità e nel rispetto dell’ambiente.
Ma cosa succede quando un’azienda ‘esagera’ e si definisce green senza esserlo davvero?
Questo fenomeno si chiama greenwashing. È una strategia utilizzata dalle organizzazioni per migliorare la brand awareness e ottenere guadagni rapidi, ma che, a lungo termine, erode la fiducia dei consumatori e danneggia la credibilità dell’azienda stessa.
In questo articolo capiremo quali sono le modalità di comunicazione sostenibile ingannevoli e illustreremo alcuni esempi che hanno lasciato il segno.
Definizione di Greenwashing
Non tutto ciò che è verde è davvero sostenibile. Il greenwashing indica l’insieme di pratiche comunicative attraverso cui un’impresa presenta sé stessa o i propri prodotti come eco-friendly, molto più di quanto non lo siano realmente. Spesso questo avviene tramite affermazioni vaghe, immagini evocative o dati non verificabili, con l’obiettivo di influenzare le scelte dei consumatori anche senza produrre un reale impatto positivo.
In altre parole, si tratta di una forma di comunicazione ingannevole, simile ad altri strumenti di marketing poco trasparenti (come i dark pattern) e pensata per incrementare le vendite. Tuttavia, nel tempo queste strategie vengono quasi sempre smascherate, con conseguenze che possono andare da scandali pubblici a una significativa perdita di credibilità per l’azienda. Ne vale davvero la pena?
Le modalità del Greenwashing
Il greenwashing può assumere forme diverse. Tra gli strumenti più utilizzati ci sono le affermazioni pubblicitarie sulla sostenibilità: i green claim. Quando queste dichiarazioni sono fuorvianti o non supportate da dati verificabili, diventano un chiaro segnale di greenwashing, ovvero di una comunicazione ingannevole per il consumatore.
Green claims e inganno: i 7 peccati capitali del greenwashing
Nel 2007, la società di consulenza TerraChoice ha identificato sette strategie comuni di greenwashing, note come i “7 peccati capitali”:
- Vaghezza (Vagueness) – Vengono usati termini generici come “eco-friendly” o “naturale”, senza prove concrete, possono far sembrare un prodotto più sostenibile di quanto sia realmente.
- Falso senso di responsabilità (Hidden Trade-Off) – L’azienda omette informazioni importanti sull’impatto del prodotto, facendo leva su caratteristiche apparentemente sostenibili.
- Mancanza di prove (No Proof) – Molte affermazioni sulla sostenibilità non sono supportate da certificazioni o dati verificabili, riducendo la fiducia dei consumatori.
- Esagerazione (Fibbing) – Vengono fatte dichiarazioni false o ingannevoli su iniziative green inesistenti, come campagne pubblicitarie che mostrano pratiche ecologiche mai implementate.
- Manipolazione visiva (Misrepresentation) – Simboli, immagini o packaging che suggeriscono un’idea di sostenibilità che però non corrisponde alla realtà: ad esempio, il logo di una foglia o immagini naturali non garantiscono impegno reale.
- Irrelevanza (Irrelevance) – Vengono evidenziati vantaggi ecologici reali, ma poco significativi rispetto alla sostenibilità complessiva, ad esempio un prodotto “senza CFC” quando il CFC è già vietato.
- Minimalismo (Lesser of Two Evils) – L’azienda descrive solo il male minore, nonostante resti pur sempre un male. Le informazioni date sono reali ma nascondono il vero impatto negativo del prodotto.
Conoscere questi “peccati” aiuta a distinguere i veri green claim dalle affermazioni ingannevoli, evidenziando le pratiche più comuni di comunicazione fuorviante nel marketing ecologico.
Esempi di Greenwashing
Alcuni casi di greenwashing sono diventati scandali pubblici e sono utili per capire in quanti modi può declinarsi questo fenomeno di cattiva comunicazione:
Chevron (anni ’80)
Un primo esempio è la campagna “People Do” di Chevron che negli anni ‘80 ritraeva i dipendenti dell’azienda mentre proteggevano farfalle, tartarughe e altri animali. Un’immagine chiaramente green, mentre in realtà, nello stesso periodo, l’azienda petrolifera americana stava ricevendo multe per violazioni ambientali e non investiva realmente in pratiche ecologiche.
Questo caso è stato uno dei primi e più noti esempi di greenwashing su larga scala e ha reso evidente all’opinione pubblica come l’autenticità delle iniziative ambientali delle organizzazioni debba sempre essere verificata.
Volkswagen – Dieselgate (2015)
Uno degli scandali più famosi dell’ultimo decennio è il Dieselgate di Volkswagen. L’azienda tedesca pubblicizzava le proprie automobili a gasolio come “clean diesel”, poiché rispettavano rigidi standard di sostenibilità ambientale. Una ricerca condotta dall’International Council on Clean Transportation e dalla West Virginia University dimostrò, però, che i veicoli erano dotati di un software che falsava i test sulle emissioni di gas serra.
In questo caso, oltre che ingannevole per milioni di persone che avevano acquistato un’automobile Volkswagen, il greenwashing ha avuto anche un impatto ambientale significativo.
Oggi, fenomeni simili si osservano anche nella moda, nella cosmetica e nel food, dove, per esempio, alcune campagne pubblicitarie enfatizzano piccoli dettagli “eco” nascondendo l’impatto negativo reale del prodotto.
Questi sono solo due dei famosi esempi di greenwashing documento nel tempo, e le conseguenze per le aziende che hanno deciso di seguire questa strategia hanno avuto un impatto negativo sulla loro immagine.
I rischi del Greenwashing
Esploriamo insieme, quali sono i rischi concreti a cui un’impresa che si “copre di verde”, può andare incontro:
- Perdita di fiducia dei consumatori: i clienti, sempre più attenti ai temi della sostenibilità, sono pronti a penalizzare i brand che diffondono green claim non verificabili, preferendo realtà realmente impegnate nell’eco-sostenibilità.
- Danneggiamento della reputazione aziendale: un singolo episodio di comunicazione ingannevole può compromettere anni di strategie di branding e ridurre drasticamente il valore percepito del marchio.
- Sanzioni economiche: l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) può imporre sanzioni economiche che vanno dai 5.000 ai 10 milioni di euro in base alla gravità e alla durata della violazione
- Minore credibilità del settore: più aziende ricorrono a dichiarazioni ambientali non fondate, più si indebolisce la fiducia generale verso le aziende dello stesso comparto, creando un danno anche a chi opera con serietà e trasparenza.
Solo con una comunicazione trasparente, le aziende possono garantirsi un vantaggio competitivo duraturo e contribuire realmente a un’economia più sostenibile.
Stop Greenwashing: normative e linee guida europee
Per contrastare il sempre più comune fenomeno del greenwashing, la Commissione europea ha introdotto linee guida e regolamenti volti a tutelare i consumatori e incentivare pratiche di comunicazione e sostenibilità autentiche.
I principali sono due:
- Tassonomia UE 2020: definisce quali attività economiche possono essere considerate realmente sostenibili, fornendo criteri chiari per valutare l’impatto ambientale delle imprese;
- Direttiva Green Claims 2024/825/UE: limita le affermazioni ambientali non supportate da prove concrete, rendendo più difficile il greenwashing e promuovendo la trasparenza nella comunicazione.
Queste norme non solo tutelano i consumatori, ma offrono alle aziende un quadro chiaro per strutturare strategie di marketing trasparenti, credibili e verificabili, permettendo di comunicare in modo efficace il proprio impegno verso la sostenibilità.
Sostenibilità e comunicazione: i principi del green marketing
Fin qui abbiamo parlato solo di greenwashing, ma come riconoscere un’azienda che mette davvero in atto pratiche rispettose dell’ambiente e le comunica in maniera corretta?
Ci vengono in aiuto le “5 I del green marketing”, ovvero le cinque caratteristiche che contraddistinguono un prodotto o un servizio autenticamente sostenibile identificate da John Grant nel suo Manifesto del green marketing:
- Innovativo: deve offrire una soluzione nuova o migliorata a un bisogno esistente, riducendo l’impatto ambientale (es. materiali riciclati, design riutilizzabile, produzione efficiente).
- Informato e trasparente: deve essere accompagnato da informazioni chiare e verificabili sulle sue caratteristiche ecologiche (certificazioni, tracciabilità, impatto ambientale dichiarato).
- Invitante: deve essere desiderabile per il consumatore, non solo per la sua sostenibilità, ma anche per estetica, qualità e funzionalità.
- Intuitivo: deve essere semplice da usare e da comprendere, integrandosi facilmente nelle abitudini quotidiane del consumatore.
- Integrato: deve riflettere un approccio sostenibile completo, considerando anche aspetti sociali ed economici lungo tutta la filiera (lavoro etico, durabilità, riparabilità, accessibilità).
Questi principi aiutano aziende e consumatori a identificare, promuovere e scegliere prodotti davvero a basso impatto ambientale e a comunicarli in modo etico e responsabile.
Conclusione
Per le aziende, il greenwashing può sembrare vantaggioso nel breve periodo, ma oggi è sempre più facile da smascherare e finisce per compromettere credibilità del brand e fiducia del consumatore. Al contrario, una strategia di green marketing ispirata alle 5 I rappresenta una strada solida per innovare in modo sostenibile e creare un rapporto con gli stakeholder fondato su trasparenza e coerenza.
Oggi non bastano più slogan o dichiarazioni di intenti: a parlare, prima di tutto, devono essere i fatti.
Azione e comunicazione devono quindi andare di pari passo lungo la strada della sostenibilità.